I miti fondativi dell’Università di Pavia attingono al glorioso passato politico e culturale della città e in particolare alla dignità di “capitale regia” e di “città imperiale” che poteva vantare in virtù della sua storia reale ma anche di non disinteressate riscritture ideologiche.

Visitatrice della mostra osserva i pannelli dedicati al mito Carolingio. Foto credit: Elisabeth Nyota Daccò

La mostra si è posta l’obiettivo di illustrare due questioni distinte, la fondazione storica dell’Università di Pavia, il 13 aprile 1361, e tre miti delle origini costruiti in specifici momenti della sua esistenza: longobardo nel periodo dell’avvio sotto il dominio dei Visconti, carolingio verso l’inizio del XVI secolo, lotariano quando, nel 1925, si reagì alla recentissima fondazione dell’Università degli Studi di Milano vantando “l’XI centenario dello Studio pavese, il più antico d’Italia”. La fondazione di uno Studium generale universitario poteva avvenire solo previa autorizzazione e approvazione di uno o di entrambi i poteri universali dell’epoca, impero e papato. Proiettando a ritroso questa modalità, fu possibile immaginare, soprattutto per effetto dell’aura di capitale regia e di città imperiale che il glorioso passato faceva ancora risplendere su Pavia, fondazioni ben più antiche e nobili da parte, appunto, dei re longobardi, dell’imperatore Carlo Magno, dell’imperatore Lotario I, nipote di Carlo.

Silvia Sanza pone un medaglione raffigurante Galeazzo II Visconti in esposizione nella vetrina dedicata al mito longobardo. Foto credit: Ester Maria Bernardi
Anna Letizia Magrassi Matricardi dispone un documento in vetrina nella vetrina dedicata al mito lotariano e ai festeggiamenti del 1925. Foto credit: E. M. Bernardi
Il direttore del Museo, Lucio Fregonese, illustra la mostra. Foto credit: Anna Aquilecchia

Soppiantando i due antecedenti miti genealogici, quello del 1925 adduceva come prova un capitolare promulgato nel maggio 825 dall’imperatore Lotario I in virtù delle disposizioni che dava per l’istruzione di livello superiore in un’ampia area dell’Italia. Nove città del nord e del centro venivano indicate come sedi presso le quali gli studenti dovevano confluire da corrispondenti zone geografiche e Pavia spiccava fra tutte per l’ampiezza del bacino e per essere l’unica ad avere un prestigioso maestro designato, il monaco irlandese Dùngal. Con circa tre secoli di anticipo, tutto ciò avrebbe prefigurato il sistema delle future università e stabilito il primato assoluto di Pavia.

Nel 1961, in occasione dei 600 anni dalla fondazione storica, l’ateneo ribadì il suo ultimo mito fondativo collocando l’altorilievo di Lotario che, accanto a quello dell’effettivo fondatore Galeazzo II Visconti, campeggia all’ingresso del palazzo storico di Strada Nuova. Consolidato su solida pietra, ma viziato – come si mostrerà – da un increscioso scambio di persona nella raffigurazione dell’antico imperatore, il mito perdura e suggerisce facilmente che nel 2025 ricorra il XII “centenario dello Studio pavese, il più antico d’Italia”.

Le due riproduzioni dei “fondatori” storici dell’Università apposte nel 1961 all’ingresso dell’Università di Pavia. A destra, Galeazzo II Visconti. A sinistra, quello che fu erroneamente raffigurato come Lotario I. Immagine dell’Archivio Storico dell’università di Pavia
Riproduzioni 3d, realizzate da Officine 3D per illustrare le differenze tra due sigilli: a sinistra quello raffigurante Lotario di Arles, impropriamente usato come base per l’effigie del bisnonno Lotario I, a destra quello che riporta l’effettivo volto dell’imperatore. Foto credit: Silvia Sanza
Vanni Frassoni di Officine 3D effettua i rilievi fotografici per la riproduzione fotogrammetrica di uno dei sigilli, conservato all’Archivio di Milano. Foto credit: S. Sanza

La mostra ha evidenziato come questo e i precedenti miti non resistano all’analisi storica e sussistano, appunto, solo come artefatti mitici di cui è peraltro interessante esplorare la genesi storica. In questo modo, la contrapposizione apparentemente insanabile tra la ragione dell’analisi scientifica e l’emozione del mito identitario o rivendicativo può trovare una ricomposizione superiore. Riconoscere il carattere non scientifico delle nostre mitologie non vuole però in alcun modo sminuire il valore dei preziosi frammenti di storia impiegati per costruirle e, in un certo senso, distinguere il mito dalla storia serve a mettere ancora più in luce gli elementi reali, che invece rischiano paradossalmente di finire nell’ombra.

Dùngal fu certamente esponente eminentissimo della cultura religiosa e scientifica dell’epoca ma il capitolare lotariano che lo menzionava non stabiliva scuole di documentata continuità e storicamente paragonabili alle future università, dato che, tra le altre cose, l’insegnamento era ristretto agli ecclesiastici e affidato a un singolo maestro. Inoltre, in fatto di antichità, anche le altre otto sedi nominate nel capitolare avrebbero potuto rivendicare la stessa età “universitaria” di Pavia.

Ben assodato è il valore della rinascita culturale che – con l’aiuto di dottissimi monaci che proteggeva e faceva ambasciatori di sapienza – Carlo Magno avviò in Europa ma il mito carolingio sorse con piedi fragilissimi, ponendo la fondazione universitaria pavese verso l’anno 740, addirittura prima della nascita o nell’infanzia di Carlo. Datazioni meno improbabili provarono poi a sanare il paradosso.

Prezioso tronco per l’innesto del mito longobardo furono le Honorantie civitatis Papie – rilevante testo del X secolo che documenta le importanti funzioni amministrative e fiscali svolte da Pavia durante il regno dei Longobardi e sotto gli Ottoni – in cui una mano ben istruita e desiderosa di fare piacere ai Visconti aggiunse righe che favoleggiavano di uno Studium generale già allora esistente.

Un ulteriore gioiello fu messo in campo nel 1925 per avversare l’insidiosa antichità universitaria di Bologna: l’Expositio, ovvero un commento, al Liber papiensis, una consistente raccolta di testi di diritto longobardo e franco di presumibile compilazione pavese. L’Expositio, databile verso il 1070, si caratterizzava in senso innovativo per l’impiego del diritto romano. Bologna aveva rivendicato il proprio primato universitario assoluto al 1088 additando analogamente il ricorso al diritto romano nell’interpretazione del Corpus iuris civilis giustinianeo da parte di Irnerio e dei “quattro dottori bolognesi”. Pavia contrappose l’opera giuridica espressa nell’Expositio da Lanfranco e dagli “antichi maestri pavesi” e la celebrò con il monumento che sorge nel cortile del Rettorato. Pavia prima di Bologna, quindi? No, perché non vi è traccia di un insegnamento universitario nella forma che, qualche decennio dopo, avrebbe assunto a Bologna. Ma ciò non toglie che Pavia abbia avuto un ruolo importante nella rinascita culturale che diede i suoi frutti a Bologna e in tutta Europa.

Una visitatrice prova i codici QR, associati alla app museale, per visionare contenuti aggiuntivi. Foto credit: E. M. Bernardi